IL FATTO, PUR TENUE E ARCHIVIATO, NON E' PIU' REATO: CHE FARE?
- Redazione L'altro penale
- 29 set
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Riforme e problemi applicativi: quali rimedi avverso decreto di archiviazione per particolare tenuità del fatto relativo a fattispecie abrogate o dichiarate costituzionalmente illegittime?
Le recenti riforme hanno, come noto, introdotto la possibilità di ricondurre il fatto di reato al disposto dell’art. 131-bis c.p., e ciò ben può avvenire anche all'esito della prima fase del procedimento, per iniziativa del Pubblico Ministero, qualora formuli una richiesta di archiviazione ai sensi dell'art. 411 c.p.p.
La prassi quindi già conosce l’ipotesi dell’intervenuta emissione di un provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto; provvedimento che viene iscritto a futura memoria nel casellario giudiziale, ai sensi dell’art. 3, lett. f), d.p.r. n. 313/2002, secondo le indicazioni fornite dalla Suprema Corte (Cass., Sez. Un., 30 maggio 2019, n. 38954), e vi rimane per dieci anni «dalla pronuncia», per il disposto dell’art. 5, comma 2, lett. d-bis), d.p.r. n. 313/2002, norma disciplinante l’eliminazione delle iscrizioni.
Ora, sebbene la giurisprudenza abbia chiarito che tale iscrizione non deve essere menzionata nei certificati richiesti da privati, datori di lavoro o pubbliche amministrazioni, e ha effetto limitato al solo ambito del circuito giudiziario, la documentazione dell'epilogo archiviativo nel casellario non è esattamente priva di potenziali conseguenze pregiudizievoli. Infatti, non solo può essere d'ostacolo ad ottenere un nuovo provvedimento che, nel caso di commissione di un successivo reato, dichiari ancora la particolare tenuità del fatto (essendo ostativa ex art. 131-bis, comma 4, c.p. l'abitualità del comportamento), ma può persino indurre il giudice di un futuro processo a carico della stessa persona a negare il beneficio della sospensione condizionale della pena, come di recente hanno affermato i giudici di legittimità (Cass., sez. III, 11 aprile 2024, n. 26527, rv. 286792-05).
Tralasciando ogni profilo concernente il possibile interesse dalla persona sottoposta a indagini a contestare l’iniziativa del PM nei termini di rito - interesse a tutela del quale il codice consente l'opposizione a norma dell'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., e, in caso, il ricorso per violazione di legge ex art. 111, comma 7, Cost. (v. Cass., sez. V, 25 febbraio 2025, n. 12294); ovvero, in ipotesi di violazione del contraddittorio, il reclamo al tribunale monocratico ai sensi dell'art. 410-bis c.p.p. (cfr., Cass., sez. III, 16 gennaio 2025, n. 10404) – c'è da chiedersi quali diritti possa esercitare in un momento successivo colui nei cui confronti siano stati emessi in via definitiva un decreto o un'ordinanza di archiviazione per tenuità del fatto, qualora in seguito la fattispecie penale in questione venga abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima, e sussista un interesse concreto alla cancellazione della relativa iscrizione nel casellario, come può accadere proprio nelle eventualità sopra accennate in cui la presenza di una tale pronuncia condizioni la fruizione di successivi benefici.
Che fare, dunque, se il reato “archiviato per tenuità” viene abrogato o dichiarato incostituzionale?
Non pare che il sistema preveda uno specifico rimedio di cui avvalersi per eliminare questo tipo di “precedente” dal casellario giudiziale.
Lo strumento utilizzabile potrebbe essere, allora, l’incidente di esecuzione di cui all’art. 673 c.p.p. (e lo dice anche la Cassazione, leggendo tra le righe di alcune recenti pronunce), che, per le medesime ragioni qui in discorso, prevede che siano revocati i decreti e le sentenze di condanna, nonché quelle di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità.
Individuare istituti o strumenti diversi non sembra invero possibile.
La normativa di settore conosce strumenti tipici volti a disciplinare eventuali criticità applicative (si consideri, ad esempio, che il Testo unico in materia di casellario giudiziale indica le «garanzie giurisdizionali» al titolo VIII, rimettendo al tribunale le «questioni concernenti le iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti»: art. 40 d.p.r. n. 313/2002), ma non pare che si possa ad essi far riferimento nelle ipotesi in esame. Si tratta infatti di strumenti volti a dirimere questioni applicative, inidonei a fornire riscontro ad una richiesta di eliminazione dell’iscrizione che postuli la “revoca” del decreto o dell'ordinanza di archiviazione per tenuità del fatto, emessi in relazione ad una norma incriminatrice abrogata o dichiarata illegittima.
Così stando le cose, appare difficile individuare percorsi alternativi rispetto alla formulazione di un'istanza di revoca del provvedimento ai sensi dell’art. 673 c.p.p., invocando un’applicazione analogica in favor rei di tale norma, ovvero, forse più semplicemente, facendo appello al principio espresso più volte in sede giurisprudenziale, secondo cui nella nozione di sentenza, a norma dell’articolo 111, comma 7, Cost., non rientra unicamente la pronuncia giurisdizionale avente detta forma, ma anche ogni altro provvedimento che, pur diversamente nominato, abbia, per un verso, carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo, e per altro verso, non sia soggetto ad alcun ulteriore mezzo di impugnazione (per tutte, Cass., Sez. Un., 10 giugno 2003, n. 25080, Pellegrino).
Del resto, come accennato all'inizio, in linea con tale assunto è stata affermata l'impugnabilità per Cassazione dell'ordinanza ex art. 411, comma 1-bis, c.p.p., proprio in considerazione del carattere decisorio e della sua capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni di diritto soggettivo (Cass., sez. I, 29 novembre 2024, n. 3875, dep. 2025, Franza; Cass., sez. V, 31 maggio 2023, n. 36468, Tramo, rv. 285076 - 01; Cass., sez. III, 27 ottobre 2022, n. 5454, dep. 2023, Pandolfi, rv. 284139 – 01).
E' auspicabile che il vuoto normativo segnalato sia colmato quanto prima in via interpretativa dalla Suprema Corte o da un intervento del legislatore.
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