UNA QUESTIONE DI EDUCAZIONE: SOLLECITARE NON BASTA, OCCORRE ECCEPIRE LA SPECIFICA NULLITA’. POTERI ED ONERI IN TEMA DI PROVA SCIENTIFICA
- Redazione L'altro penale
- 31 ott
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 4 nov

La recente sentenza n. 25729/2025 della IV sezione della Corte di cassazione, sul tragico incidente avvenuto sul viadotto Acqualonga dell'autostrada Napoli-Canosa (nel quale hanno perso la vita quaranta persone e altre ventinove sono rimaste ferite) è stata l’occasione, per i giudici di legittimità, per trattare approfonditamente anche il tema dei poteri del consulente di parte in ambito di accertamento peritale, con indicazione dei diritti oggi riconosciuti al consulente e dei conseguenti oneri imposti – tanto per cambiare – al difensore.
Il fatto per cui si procedeva
In estrema sintesi: durante il processo di primo grado, la dinamica del sinistro (un pullman che trasporta persone in pellegrinaggio, senza più freni, sfonda le protezioni del viadotto e cade nel vuoto) è stata ricostruita dalle difese degli imputati con l’apporto di diversi consulenti di parte. Dopo la loro audizione in sede dibattimentale, il tribunale ha ammesso una perizia sui medesimi fatti e temi. E' stata quindi fissata una udienza ad hoc per sentire, nel contraddittorio, il perito.
I difensori degli imputati hanno allora chiesto – e bisogna prestare attenzione ai termini, perché si riveleranno decisivi – tre cose:
1) che le domande al perito potessero essere fatte direttamente dai consulenti;
2) che venisse disposto un confronto tra il perito e i consulenti;
3) di risentire, all’esito dell'audizione del perito, anche i consulenti di parte.
Il tribunale ha rigettato tutte e tre le richieste.
Con l'atto d'appello i difensori hanno censurato l’ordinanza reiettiva, ma la corte territoriale ha confermato, su questi specifici aspetti, la decisione del primo giudice.
Il motivo di appello è stato, ovviamente, riproposto, nei limiti di cui all’articolo 606 c.p.p., con il ricorso per cassazione e la Suprema corte ha ritenute infondate le censure facendo il punto sui poteri concessi alle difese, e ai loro consulenti, in sede di perizia su prova scientifica.
Ma conviene procedere con ordine e vedere, per ciascun profilo problematico sollevato, cosa ha risposto la Cassazione alle doglianze delle difese.
1) Le domande al perito le deve fare il difensore, magari su suggerimento del consulente o con il consulente a fianco, ma i ruoli sono quelli indicati dal codice di procedura e non c’è scritto da nessuna parte che possa essere il consulente a controesaminare il perito (anche se, non è un segreto per nessuno, a volte qualche magistrato lo consente). Il diniego a questa richiesta della difesa, comunque, non comporta nullità di sorta. In altri termini: nessun diritto, nessuna nullità.
2) E’ certamente possibile che il tribunale disponga il confronto – si intende la specifica prova disciplinata dall’art. 211 c.p.p. – fra il perito ed il consulente di parte non essendo il confronto limitato ai soli testimoni o agli imputati che si contestano o si accusano l’un l’altro (come nei film americani). Ma non è certamente un obbligo per il giudice accogliere una richiesta formulata a tal fine dalle parti; pertanto, un diniego non determina alcuna ipotesi di nullità; basta che sia ben motivato.
3) E’ invece un diritto vero e proprio della difesa, se lo richiede, far sentire il proprio consulente dopo l’audizione del perito.
I diritti della difesa
La fisionomia del contraddittorio nella formazione delle prova scientifica – scrive la Cassazione nella sentenza qui in esame – è oggi delineata da due pronunce la cui lettura – aggiungiamo noi – è irrinunciabile per ogni difensore interessato all'argomento.
Si tratta di Cass., sez. II, 17 marzo 2022, n. 19134, e di Cass., sez. III, 8 febbraio 2023, n. 12815, le quali hanno chiarito che, in tutte le fasi del procedimento:
1) occorre dare al consulente di parte la possibilità di presenziare al conferimento dell’incarico peritale e alla formulazione del quesito (sul quale, ovviamente, il consulente potrà verbalizzare le proprie richieste);
2) occorre consentire al consulente di presenziare alle operazione peritali (con diritto ad avere, almeno, avviso del loro inizio, e dovere di informarsi sul prosieguo delle stesse);
3) se la parte lo richiede (ed ecco che iniziano gli oneri per la difesa), occorre sentire il consulente di parte nel dibattimento o nell’incidente probatorio, indipendentemente dalle opinioni espresse dallo stesso e/o dalla sua adesione o meno alla metodologia e/o alle conclusioni raggiunte dal perito. In altre parole: non occorre più – così scrive la Cassazione – che il consulente di parte, nel corso dello svolgimento della perizia, abbia tenuto un comportamento “reattivo” nei confronti del perito, verbalizzando il suo dissenso su metodiche o risultati. Se il difensore lo richiede, il consulente va sentito sempre e comunque anche in occasione dell’incidente probatorio (verrebbe da dire: è un diritto assoluto della difesa; ma non è così, come vedremo subito).
Qui si pone, ovviamente, una prima questione di carattere strategico. E’ evidente infatti che, in sede di prova anticipata, dovrà essere “bravo” il difensore a capire se avrà maggior vantaggio a cristallizzare l’opinione del proprio consulente avanti al GIP o se riservarsi tale scelta per il processo.
Si intende: se il difensore sa già che opterà per una definizione alternativa tramite giudizio abbreviato è chiaro che potrebbe essere opportuno far sentire il proprio consulente in incidente probatorio, posto che una successiva richiesta del rito speciale condizionata all'assunzione dell'esame del consulente potrebbe non essere accolta, dal momento che c'è già una prova scientifica in atti nella forma della perizia (che per lo più include, almeno nella prassi odierna, anche le risposte del perito alle osservazioni e contestazioni dei tecnici di parte). All'opposto, se il difensore sa già che andrà a dibattimento, potrebbe essere conveniente riservare l’audizione del consulente di parte davanti al giudice, diversa persona fisica, che dovrà poi prendere la decisione, non essendo affatto scontato che quest'ultimo si sentirà in obbligo di (ri)ammettere l'esame del consulente, quando sia già stato acquisito dal GIP.
Che succede, però, se, disposta la perizia, il GIP o il tribunale si rifiutano di sentire il consulente di parte immediatamente dopo il perito, esattamente come è successo nel caso giudiziario della terribile vicenda del viadotto di Acqualonga?
La risposta l’ha fornita proprio una delle sentenze prima citate (Cass., sez. III, 8 febbraio 2023, n. 12815), individuando nella violazione del contraddittorio, che così si determina, una lesione del diritto di difesa ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. Dunque, una nullità; ma – si badi bene – una nullità a regime intermedio, con tutti gli annessi e connessi che questa comporta dal punto di vista della necessità che la parte che vi assiste la eccepisca prima del compimento dell’atto o, se ciò non è possibile, immediatamente dopo, a pena – rischio di cui noi difensori siamo ben consapevoli – di decadenza ai sensi dell’art. 182, comma 3, c.p.p.
Ebbene, ciò, è proprio quanto si è verificato nel processo per l'incidente sul viadotto di Acqualonga, nel quale i difensori degli imputati, pur avendo sollecitato il confronto fra perito e consulente e, poi, l’audizione dei propri consulenti – che avevano il diritto di ottenere –, non hanno espressamente verbalizzato l'eccezione di nullità dell'ordinanza del tribunale che ha rigettato la loro richiesta, e hanno sollevato la questione solo con l’atto di appello. Morale: la nullità c’era, era però una nullità a regime intermedio, non è stata eccepita tempestivamente e, pertanto, tutto è sanato.
Non è la prima volta che si leggono sentenze di questo tenore. Tutt'altro. Per fare solo un esempio, sempre in ambito probatorio, analoghi principi sono stati affermati in tema di revoca, da parte del tribunale, del testimone della difesa già ammesso. Anche in questa evenienza, quindi, occorre “alzare il ditino” ed eccepire la nullità che, altrimenti, è subito sanata. E di recente, in tema di mancato espletamento dell’interrogatorio preventivo, si è discusso se sia onere della difesa eccepire la relativa nullità già in sede di interrogatorio di garanzia o se sia possibile farlo anche con la richiesta di riesame. Sul punto, sono appena state chiamate a fare chiarezza le Sezioni Unite (v. l'ordinanza di rimessione, Cass., sez. V, 24 ottobre 2025, dep. 30 ottobre 2025, n. 35613).
Una riflessione, in fine
La verità è che, forse, occorrerebbe ripensare il regime delle nullità intermedie e fissare dei termini più “umani” per farle valere, non tanto e non solo perché le questioni che si affrontano in aula sono sempre estremamente complesse (e si pensi alle ulteriori, smisurate difficoltà, che oggi possono insorgere ad attivarsi hic et nunc quando i giudizi si svolgono con collegamenti a distanza degli imputati), ma anche perché il processo, a volte, necessita di riflessioni a mente fredda più che di sgradevoli e fulminei interventi di un difensore che si alzi in piedi ed eccepisca la violazione dei propri diritti ancor prima – si potrebbe quasi pensare – che il giudice li abbia negati.
Probabilmente un bilanciamento più ragionevole degli interessi in gioco (tra cui c'è certamente quello ad evitare eccessive regressioni dei processi affetti da invalidità) si potrebbe conseguire spostando al momento della chiusura del dibattimento il termine ultimo per le parti per eccepire le nullità non assolute che si verificano nel giudizio, a prescindere dall'aver assistito o meno al compimento dell'atto “incriminato”. D'altro canto, non bisogna dimenticare che le nullità intermedie possono pure essere rilevate d'ufficio, sicché prevedere un “tempo di riflessione” più ampio potrebbe anche consentire al giudice di effettuare una sorta di intervento “in autotutela” qualora, melius re perpensa, si accorga di aver posto in essere un atto viziato.
Nel caso dell'incidente di Acqualonga, i colleghi avevano chiaramente sollecitato il tribunale ad ammettere l’audizione dei loro consulenti senza, però, eccepire la specifica nullità conseguente al rigetto della richiesta; nullità che, quindi, come detto, si è sanata seduta stante. In tutta onestà, forse la maggior parte di noi avrebbe fatto la stessa identica cosa – sollecitare e basta – o, meglio, lo stesso identico errore, perché, ben venga la differenziazione dei ruoli, il contraddittorio ed anche la fisiologica contrapposizione delle parti, ma, a volte, è anche una questione di... educazione. Il processo non è né un incontro di wrestling fra accusa e difesa (come, pure, ritengono alcuni), né una corsa a suonare un campanello dove il primo che arriva vince e ha ragione nella tenzone. Davanti al giudice, in aula, si parla e si discute (anche accanitamente), talvolta "fuori microfono", e si cerca – rectius: si dovrebbe cercare – di far prevalere la ragione e la parità delle parti.
Tutto giuridicamente corretto quello che scrive la Suprema corte nella pronuncia che ha chiuso il processo – per carità – ma, a dirla tutta, non sapremmo dire, davvero, quanto questa decisione sia anche giusta.
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